Prezzo a base d’asta non remunerativo. Come tutelarsi?
L’art. 23, comma 16, terzo periodo, Codice Appalti prevede che “Per i contratti relativi a lavori il costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni è determinato sulla base dei prezzari regionali aggiornati annualmente”.
Il tenore letterale della norma spinge a ritenere che le stazioni appaltanti siano tenute a fare puntuale applicazione dei prezzari regionali: la previsione in parola, infatti, non si esprime in termini di mera possibilità – come accade aliunde ove si legge che la P.A. “può” – ma pone un vero e proprio obbligo in tal senso.
La vincolatività dei prezzari regionali risponde ad una duplice esigenza poiché da un lato assicura la serietà e la qualità delle offerte e dall’altro consente di tutelare l’equilibrio e la stabilità del mercato delle opere pubbliche.
Ed infatti, l’impiego di parametri eccessivamente bassi o elevati, in ogni caso non in linea con le caratteristiche reali del mercato di riferimento, è potenzialmente in grado di alterare il gioco della concorrenza impedendo, così, l’accesso al mercato in condizioni di parità.
La previsione di prezzari regionali, quindi, opera nell’interesse degli operatori economici del settore e tutela la possibilità per questi di partecipare alle procedure ad evidenza pubblica senza alcuna forma di discriminazione economica.
Ma anche a voler ritenere che il prezzario regionale non abbia valore direttamente vincolante costituendo, invece, solo la base di partenza per l’elaborazione delle voci di costo delle procedure di gara, deve comunque ritenersi che, in caso di eventuale scostamento da tali parametri di riferimento, la stazione appaltante sia tenuta a darne analitica motivazione (cfr. delibera ANAC n° 768 del 04.09.2019).
Nel caso di elaborazione dei prezzi in violazione della regola sancita dall’art. 23, comma 16, D.Lgs. n° 50/2016 che impone di far riferimento ai prezzari regionali aggiornati annualmente la condotta della P.A. è certamente da qualificare come scorretta e contraria a lealtà e buona fede ma non è, solo per questo, fonte di responsabilità.
Basti considerare il caso in cui i prezziari regionali non siano aggiornati alla reale situazione di mercato e la stazione appaltante determini l’importo a base d’asta sulla base delle risultanze di un precedente appalto per la stessa tipologia che consentono di verificare le attese del mercato circa l’equa remunerazione dell’attività.
Ma allora, quando e come è possibile contestare l’operato della Pubblica Amministrazione che indica un prezzo a base d’asta non remunerativo dell’attività oggetto di appalto?
Sul punto si è già pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che con la sentenza n° 5/2018 ha precisato che è vero che sussiste un dovere di correttezza e buona fede a carico dell’amministrazione anche prima ed a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva ma è anche vero che il privato contraente deve dimostrare che la condotta dell’amministrazione sia imputabile in termini di dolo o colpa.
L’operatore economico è tenuto al pari dell’amministrazione al medesimo dovere di correttezza e serietà e, quindi, a formulare la sua offerta in maniera consapevole e meditata; ciò vuol dire che prima di dichiarare il ribasso offerto l’operatore è tenuto a verificare ed esaminare se le condizioni imposte dall’amministrazione consentano l’effettiva remunerazione dell’attività svolta.
Non è un caso, infatti, che da tempo la giurisprudenza amministrativa abbia specificato che, in deroga ai principi generali per i quali l’interesse ad impugnare il bando di gara sorge solo all’esito dell’altrui aggiudicazione poiché solo in quel momento l’operatore concorrente risulta aver definitivamente perduto il bene della vita cui aspirava (l’aggiudicazione), sia consentito anche a chi non abbia presentato domanda di partecipazione, proporre impugnazione immediata del bando di gara qualora la stazione appaltante abbia ivi previsto condizioni tali da rendere impossibile la formulazione di una offerta remunerativa, data la natura immediatamente escludente di tali clausole.
Il consiglio dell’Avvocato
PER LE IMPRESE
Nell’ipotesi in cui la stazione appaltante abbia indicato un prezzo a base d’asta non remunerativo dell’attività oggetto di appalto l’ordinamento offre agli operatori economici la possibilità di impugnare il bando di gara e gli atti conseguenziali.
In questi casi, quindi, la tempestività con cui ci si rivolge al legale di fiducia è fondamentale poiché se l’impresa non impugna immediatamente il bando e gli ulteriori atti ed anzi presenta la sua offerta con ribasso rispetto al prezzo posto a base di gara non potrà poi lamentarsi, nel caso di aggiudicazione, di non essere in grado di eseguire l’opera perché il corrispettivo che essa stessa ha offerto non lo remunera a sufficienza dell’attività svolta.
L’esistenza di un rimedio, quale l’immediata impugnazione del bando che, se tempestivamente azionato consente di imporre all’amministrazione che mal abbia operato in sede di elaborazione degli atti di rivederne il contenuto, fa sì che l’operatore economico che di esso non si sia servito possa dirsi corresponsabile del danno che poi abbia a lamentare (circostanza rilevante ai fini del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a.)
L’alternativa per l’impresa avvedutasi dell’impossibilità di formulare una offerta adeguatamente remunerativa è di non partecipare alla procedura di gara onde evitare di esporsi ad un pregiudizio economico.
PER LA P.A.
La stazione appaltante per potersi discostare dai listini e prezzari di riferimento è necessario che nel bando di gara dia atto delle motivazioni di tale scostamento e, quindi, che dimostri di aver svolto una adeguata istruttoria coerente con il prezzo a base d’asta stabilito.
a titolo esemplificativo la P.A. può far ricorso al metodo statistico e, quindi, far riferimento alla media dei ribassi percentuali praticati dalle imprese aggiudicatarie di precedenti appalti aventi il medesimo oggetto.